Un mio conoscente
che ha sempre lavorato in un patronato sindacale, si occupava di malattie professionali.Ora in pensione ha la passione per gli scacchi.
Essendo curioso, gli ho chiesto di illustrami a grandi linee, in cosa consisteva il suo lavoro. Ecco la sua risposta:
“La legge prevede che per
vedersi riconoscere una malattia professionale, debba esistere un <nesso causale> tra
il rischio lavorativo cui è stato esposto il lavoratore e la malattia
denunciata.
Il lavoratore si presenta al nostro patronato che istruisce la
pratica.
Il lavoratore è visitato da
un medico presso la sede del nostro patronato. Il medico se ritiene sussistenti
le condizioni necessarie, presenta denuncia all’INAIL territoriale.
L’INAIL territoriale
sottopone a una prima visita medica il lavoratore, a seguito della quale:
Accoglimento o respingimento della domanda.
Il lavoratore al quale è
stata respinta la domanda, viene nuovamente visitato presso il patronato. Il
medico che lo ha visitato, in presenza delle condizioni necessarie, presenta ricorso all’INAIL.
Segue seconda visita medica
all’INAIL: Accoglimento o respingimento della domanda.
Nel caso “frequente” di
respingimento, il lavoratore tramite il Patronato, fa causa all’INAIL: La causa
la paga il patronato.
Qualora il lavoratore vinca
la causa contro l’INAIL, potrà fare una seconda causa al datore di lavoro per
vedersi riconoscere il danno residuale”.
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Una sola
considerazione: In una Repubblica fondata
sul lavoro, non sarebbe possibile adottare una procedura più snella e meno
farraginosa?
Un lavoratore per vedersi riconoscere la
“malattia professionale” deve fare un simile percorso ad ostacoli?
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